mercoledì 24 dicembre 2025

In questa Santa Notte




Non è una novella, questa che vi scrivo.

E’ un testamento, un lapidario discernimento, un fragore di parole sul clima freddo che recinge le rapide passeggiate, le nervose consegne, le cioccolate caldissime, i suoni minimi degli scanner delle casse, nei centri commerciali, con il loro cantare monotono, metallico, non certo una delizia pastorale o un black gospel.

Sarebbe giusto, per un giorno solo, ridire e riscrivere tutto ciò che si è già ampiamente detto, sotto ogni porta, ogni vischio incatenato su baci spenti da disattenzioni perenni, sospese, come una tregua patetica, in un giorno dove si ricorda il parente che non si chiama mai, il perdente non conosciuto, il conducente di vite orribili, il credente imbottigliato nella sua cattedrale-difesa, il volontario, il disimpegnato cinico, l’edulcorato mostrarsi buono, ottimista, positivo grazie all’aiuto festoso e baccante di un sortilegio druidico consumato ai piedi di un agrifoglio decorato.

Sarebbe ingiusto non farlo, tirarsi fuori dalla tradizione, tradire Colui che, tra quattro mesi di liturgia, ricorderemo tradito.

Il coraggio di parlare della solitudine non soccorre chi è veramente solo.

Lo sguardo di chi è povero, senza mezzi termini, è come Dante scrisse: “Vergognosa fronte”.

Dov’è nascosta la vergogna nel Natale?

Dove le crepe del cuore si divaricano sulle nuove stanze elettroniche che ci radunano secondo le regole di uno sciame disordinato che riscopre calore sociale solo sotto la pressione del tasto enter?

Quanta indulgenza verso noi stessi.

Quanta autostima per nascondere arroganze, presunzioni, fragilità emotive mai spiegate a se stessi nè tanto meno agli altri, per alimentare un costrutto narcisistico, per non sentirsi deragliati dalla folla solitaria avvinghiata agli smartphone.

Per fortuna, esistono quei particolari giorni, nominati secondo il comando di un calendario gioviale e felice, che li accomuna ancora a quel lontano dì di festa leopardiano, che non si vorrebbe mai concluso e che, forse, freme di brividi danzanti e musicali, di promesse di serenità, lavoro, salute, amore, sicurezza e protezione, al di sotto dell’epidermide dei nostri volti, già da lungo tempo inguainati in una maschera, plasmata dalla disabitudine all’immobilità, al sano non fare che ci permetterrebbe di mandare all’aria tutto ciò che non ci rende dignitosamente umani.

Nel solitario IO che nel sincero “NOI” dovremmo dileguare, c’è una sorta di reticenza involontaria, compulsiva, un recalcitrare dinanzi all’orrore.

Questa sera, da qualche parte, in questi luoghi nonluogo che ci scompongono in sintagmi disaffettivi, un gruppo nutrito di volontari servirà pasti caldi a umani disperati, senza denti.

In questa Santa Notte, in città che non sono solo semiologia da GPS, in altrettanti limbi a ridosso degli inferni edificati dall’umanità, attraversati dalla retorica del sogno per pochi, ben celata dietro l’incubo dei più, candele e preghiere saranno suppliche di grazia, desideri di guarigione e salvezza non ancora corrosi dall'indicibile.

E se i dispensatori di doni si troveranno in ognuna delle case dove si inscenerà, per qualche ora, la falsa fine del dolore e della rinuncia alla propria immediata sopravvivenza, i destinatari di quei doni, saranno veramente felici?

Alla fine, oltre la pace sia con voi, lasciati alle spalle  i portoni sacri e profani, affacciandoci dai nostri squarci aperti nei muri, dalle nostre difese di cemento ben riscaldate, vedremo ombre striscianti, silenziose per la mietitura algida dei bidoni della spazzatura o il solito  nulla che s'incrocia tra i palazzi?

Tra le montagne di rifiuti che incombono sui perimetri urbani, uccisi dalla morte del gesto di accoglienza, nasceranno i nuovi angeli incarnati nei più minuscoli e sfortunati, quelli che portano il marchio di un Dio labile, quello stesso segno che, la retorica di un giorno fra  tanti, vorrebbe riconoscere unico e indispensabile alla salvazione dall’incoerenza, alla libertà dalle porte serrate  sui corpi sfatti, malati, in stadio terminale, ghermiti dal dolore, sul destino polveroso e privo di memoria che li attende, anticamera di un'eutanasia burocratica annunciata.

Questo Natale è ancora un aborto, una bozza nel cestino, un lavoro minuzioso sulla coscienza di ognuno mai intrapreso? 

Questa è la misura sconcertante del mio, del nostro esistere, non del venire al mondo di un Dio bambino.


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