Che cosa sono io senza di Te se non la guida di me stesso verso
l’abisso.(S.Agostino
- Confessioni, l. IV, 1-1)
(…) e nella gloria verrà a giudicare i vivi e i morti.
Il
timor di Dio è una parafrasi ansiogena e ci si è affrettati a
mutilarne la sostanza secondo un soggettivismo nevrotico che mal
sopporta la via del pentimento, l’esperienza catartica del
disprezzo di sé per i mali commessi, il desiderio di espiazione
quale anticipatoria ammissione di responsabilità che non teme il
castigo divino, anzi anela alla riparazione.
Atteggiamento
duro, non certo giansenista, semplicemente: principio fondante
dell’umiltà che evita il peccare, l’errare ripetuto sotto pena
d’essere una diabolica perseveranza, quando si desidera sfidare la
legge morale, dichiarandosi anarchici distruttori di qualsivoglia
sottomissione alla corte celeste.
Negare
il male e il Maligno.
Accettare acriticamente il riduzionismo simbolico della cattiveria umana, come semplice etologia
deviata del mammifero uomo sorto dai gorghi del brodo primordiale.
Giudicare
immaturo gran parte del deposito della fede cattolica.
Tirare
per l’aureola i vecchi santi, cattivi maestri di una superata
Teologia della Sofferenza. Rimettersi, invece, alle
neosantificazioni politiche che insegnano la via della crescita del
neocatecumeno quale prodotto sincretico di eresia e autoassoluzione.
L’imperfezione
non è mai stata così perfetta.
Un
Dio più sostenibile è finalmente alla portata del nuovo
ecocentrismo egotantrico, un Dio tutta bontà e misericordia, un
passivo perdonatore, così buono da esser fesso, così buono da
essere ingiusto.
♱ servo inutile♱
Nessun commento:
Posta un commento