Distruggiamo l'albero con il suo frutto, sterminiamolo dalla terra
dei viventi;
affinché
il suo nome non sia più ricordato
(Geremia 11:19)
La chiesa è vuota, una struttura neogotica che mi separa dal fragore
di voci e motori, una pausa da un’aria nervosa forgiata nel vetro e
nel metallo.
Il rosso lume m’indica la tua presenza, o mio Gesù, fratello
silente, frammento di vita in un pane segregato.
Respiro inpigliato in un’invisibile rete d’incenso; flebili
stille di luce schiariscono le penombre d’altari votivi, tingendo
d’un vago vermiglio sculture di Te e tua Madre mostranti Sacri
Cuori sanguinanti e aperti a fedeli sempre più rari.
Controcorrente al flusso statistico che implacabile segna la fine di
un rigoglioso cristianesimo della partecipazione, cado in ginocchio
davanti all’oro del tabernacolo e ti adoro disattendendo a
qualsiasi estetica d’un nuovo corso ecclesiastico.
E ti chiedo perdono per tutte quelle volte che non mi sono preso cura
di te, rifiutandomi d’incontrarti dove tu sei Altare, Vittima e
Sacerdote.
E scavando tra le ossa del mio petto, Pater dopo Pater, Ave dopo Ave,
rinvengo misere vanaglorie ustionate da un dolore affine a una
perdita, raramente adombrate da una frenata gioia, un abbozzo di fiore dal vuoto del mio sterile centro, al ritrovarti amico malgrado quello
che sono e quello che avrei potuto essere.
♱ servo inutile♱
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