venerdì 12 maggio 2023

Laicità su muri vuoti

 


Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua gloria è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce.

(Isaia 40,6)


Steso s’una barella in un corridoio dai riflessi antisettici blu linoleum, osservo un’intera gerarchia sanitaria mossa dai ritmi dettati da una triage colorata, riflesso di una meccanica a me ignota.
Attendo referti ematici.
Incrocio occhi d’altri pazienti, tremiti di sopracciglio, smorfie tra labbra e zigomi.
Uno sferragliare di tende e quinte di metallo e stoffa, che separano dolori, agonie, solitudini variamente anestetizzate, mi sveglia ogni qualvolta cerco di riposare.
Trafiggono l’aria satura di disinfettante domande ad alta voce, risposte flebili, risa da cambio turno, passaggi di consegne diteggiati su tastiere sottomonitor, troneggianti nel centro dell’ambulatorio del prontosoccorso.
Chi può, si consola parlando al cellulare con qualcuno dall’altra parte, da un’altra parte, oltre la sala d’attesa; una donna molto anziana si rivolge ad un’immaginario qualcuno nell’angolo a lei assegnato, dove una notte senza sogni l’attende.
Il tempo, qui, tra dolori e terapie, interventi d’urgenza, nervosisimi del personale pressati da overdosi di caffeina e sigarette, fintamente celati dietro maschere di attenzioni e sollecitudini, ha un suo scorrere impreciso, asimmetrico, disequilibrato, così ingiusto da tenerci in pugno come pagliuzze di fieno di diverse lunghezze, in balia della cieca estrazione d’un destino di protocolli e burocrazia.
La parete vuota, davanti a me, è un bianco d’ossa, una pavane di calce spenta dove immagino un crocifisso che mai più sarà appeso in ossequio alla laicità, questa morta espressione, infelice simbolo di vacuità, lemma dolciastro, sinonimo politicamente corretto di un amaro ateismo.


                                                      ♱ servo inutile♱


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