Et ne nos inducas in tentationem
È
di questi tempi il tentativo di
"edulcorare" la definitiva e chiarissima espressione del
Pater Noster, addolcendo il senso di un verso con
una traduzione intesa
a coniugare l’ “essere"
e il “fare” cristiano.
La
"tentazione" di sfuggire alla Legge eterna, condizione
necessaria per la salvezza dell'anima; la "tentazione" di
scivolare verso l'auto-assoluzione, giustificandosi in una sorta di
restitutio omnium
liberata da colpe e castighi.
Quante
volte ci capita di essere chiamati a dar prova della nostra fedeltà
alla Legge?
E
quanto grande può essere il timore di non essere all'altezza della
fede in Cristo, con fatti e
comportamenti concreti, ma di esserlo solo a parole o con buoni
propositi a cui non si da seguito,
tanto da implorare il Signore affinché non ci ponga mai nella
condizione di essere “introdotti alla prova”?
Il
cristianesimo esige le buone opere, retti comportamenti, gesti di
carità e di giustizia: ci chiede e non
c' impone di rispondere alla chiamata, con
il proprio senso di responsabilità e di coscienza, talvolta mettendo
a repentaglio rendite di posizione e privilegi, rifiutando
scorciatoie e furberie.
Ricordiamo
le parole di San Paolo: “(…)
quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati (…)”.
Legge scritta nei cuori dalla notte dei tempi, senza necessità di
carte bollate o pubblicazioni in Gazzetta
Ufficiale;
Legge morale e civile, del giusto e del bene, luoghi dello spirito
nei quali trovare il
katechon.
Marcusፒenor
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