Io so che il mio Redentore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere. E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Dio
(Giobbe 19:25–26)
Incapaci
di parlare con Dio e con l’uomo,
come seppe fare mirabilmente il Santo d’Aquino, la
prospettiva “umana” finisce col prendere il sopravvento, la
partita si gioca sul piano del definito che ignora, volutamente o per
disabitudine, il piano spirituale.Sant’Agostino
separò nettamente la civitas
umana da quella divina, mettendoci in guardia nel non perdere di
vista la via maestra rischiando di trascinarci sul terreno pietroso e
polveroso della mondanità e del piccolo cabotaggio.Laddove
vediamo solo male scorgiamo le braccia della croce, la legge eterna
inscritta nei cuori, trasmessa di generazione in generazione a
guardia dell’uomo, creato e amato dal Signore e posto in posizione
privilegiata tra le sue creature, ma non per questo in diritto di
farsi egli stesso dio.All’opposto,
l’ottimismo panglossiano delle “magnifiche sorti progressive”
esala afrori sulfurei di atmosfere illuministe, ingozzandosi di
effimeri trionfi della volontà di potenza. Con la ragione posso
dominare il mondo, fino a trasformarlo per sanare la ferita della
“caduta” gnostica, dove identifichiamo facilmente teosofie,
radicalismi, ambientalismi, animalismi, con tutto il corredo di guru,
maître à penser, counselor e pseudo “competenti” di ogni risma.
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