lunedì 22 gennaio 2024

Un ritmo imposto dalle macchine



La preghiera non è e non da potere: 
è un messaggio in bottiglia gettato nei flutti dell'infinito

A un ritmo imposto dalle macchine, io, troglodita post-prometeico, oppongo il ritmo della mia preghiera.

Prima che albeggi, nel silenzio non ancora straziato dal quotidiano sopravvivere in quanti esistenziali, invoco, supplico, mi pento e mi prostro.

E più i miei atti sembrano desueti, ridicoli, antichi, inutili, analogici, più mi compiaccio della mia diversità, non dico originalità per non inorgoglirmi, ma almeno... rarità.

Cerco, nel centro vuoto del mondo, la densità del mio Signore, la cerco appoggiato a una spada invisibile, spezzata, arrugginita, senza più filo, inservibile per la battaglia che infurierà tra qualche ora fuori di me, indispensabile per quella che non cessa nel mio deserto, dinanzi al mio castello interiore, perennemente assediato dalle forze oscure della disgregazione. 

Sono estraneo al mondo ed il mondo è estraneo a me; un' indifferenza reciproca, un gradino morale di poco superiore all'odio reciproco.

Resta inevasa la domanda: "Cosa ne è stato della carità?".

Ripongo il grosso rosario di legno, sgranato dalla mia pavida fede, in una morbida custodia; oltrepassa, la recinzione di muri e finestre,  un'Ave Maria  rintoccata su stonate campane di bronzo dozzinale... ed è subito mattina.

♱ servo inutile♱


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